“Barbie”: un film rosa e scintillante intelligente (che sorpresa, eh?)

“Barbie”: un film rosa e scintillante intelligente (che sorpresa, eh?)

Barbie è stato tra i film più attesi del 2023.

Preceduto da una grande campagna pubblicitaria che ha sfruttato ampiamente tutta la palette cromatica di rosa, è arrivato nelle sale cinematografiche italiane lo scorso 20 luglio segnando un record mondiale importantissimo. Si tratta, infatti, del primo film diretto da una donna – Greta Gerwig – a sbancare al botteghino al momento dell’uscita. Gli incassi delle settimane successive hanno visto il titolo raggiungere traguardi appartenenti a pellicole del calibro di Star Wars – The Force Awakens o degli ultimi due film dedicati agli Avengers.

Ma il successo di Barbie non si misura solo sul box office. La colonna sonora è in vetta alle classifiche in Gran Bretagna; le Birkenstock stanno per essere quotate in borsa e quelle rosa sono introvabili; il merchandising legato al film è andato a ruba; tutti i negozi d’abbigliamento, le estetiste e i parrucchieri non hanno potuto fare a meno di adeguarsi alla moda cromatica dell’estate.

Barbie è un fenomeno. Lo è stata già a partire dagli anni Sessanta, quando la bambola è entrata in commercio diventando uno dei giocattoli più amati dalle bambine. Come tale si porta dietro tantissimi significati sociali e altrettante ambiguità. Le discussioni nate intorno al film sono state numerose e i toni, come era prevedibile, non sono stati sempre pacati.

Con questo articolo non pretendo di riuscire a soddisfare tutto quello che si dovrebbe dire sull’argomento, ma non ho potuto fare a meno di riportare nella mia stanza alcune riflessioni che da giorni mi ronzano in testa, frutto di letture, di meme e di lunghi scambi con amiche sull’argomento.

Vi avviso: è una recensione che contiene spoiler! Quindi, se non avete visto il film, tornate a leggere quando lo avrete fatto e fatemi sapere cosa ne pensate.

Un film da vedere più volte

Ho visto Barbie tre volte, sempre indossando qualcosa di rosa.

Sono tornata al cinema per condividere la visione di un film che mi era piaciuto con persone diverse di modo da parlarne con loro, ma anche per cercare di capire meglio i diversi significati che la pellicola si porta dietro. Barbie, infatti, non può essere interamente apprezzato o capito tutto in una volta. Nascendo come un blockbuster che punta a un pubblico molto vasto, la storia è costruita su più livelli di significato. Si va dal più basico e palesemente “detto” a quello suggerito e da costruire. Di certo, è molto più complesso di quanto non si creda superficialmente.

“Sentire” tutti i messaggi che il film vuole lasciare in un’unica visione non è semplice anche per via di come è scritto. Nonostante io abbia apprezzato molto la pellicola, infatti, riconosco che siano presenti dei difetti importanti che possono essere un ostacolo per la comprensione e il pieno apprezzamento del film. Da qui il bisogno di provare a sviscerare tutti gli aspetti che Barbie si porta dietro.

Barbie è un film intelligente

La prima cosa che mi sono sentita di dire appena terminati i titoli di coda è che Barbie è un film intelligente. Lo è per come gioca con i piani del fantastico e del reale rendendo uno lo specchio dell’altro, per i temi che tratta e per il modo in cui lo fa. La sceneggiatura ha trasformato in occasioni narrative tutti i significati che la bambola di Barbie si porta dietro e ha mascherando dietro la leggerezza dei dialoghi, il luccichio delle scenografie e la spensieratezza delle musiche una complessità di temi e di argomenti che sono fondamentali per capire come stare al mondo.

L’uso dell’ironia fondamentale per smorzare i toni, per attirare un pubblico più ampio e per far riflettere su alcuni aspetti della realtà. È stata la caratteristica che ho più apprezzato durante la prima visione visto che il registro comico è quello che io stessa uso nella vita per alleggerirla, razionalizzarla, allontanarla o anche affrontarla. Lo trovo anche adeguato al contesto visto che parliamo di un film che ha come protagonista un giocattolo. Come Lucrezio usava il miele della poesia per parlare di filosofia, così Barbie usa le battute per raccontare un mondo spesso contradditorio, alle volte ipocrita e (citando la protagoista) “irrimediabilmente incasinato”.

Barbie è un film di cui si può benissimo godere senza farsi troppe domande, cogliendo solo l’aspetto più superficiale. Ma dietro si può davvero aprire un mondo. C’è il racconto di che cosa significa essere donna, della frustrazione che si prova quando si vive all’ombra di qualcun altro, del valore della vita, della paura e della potenzialità dei cambiamenti, del rapporto tra creatore/trice e creatura che non è altro che specchio di quello tra genitori e figli.

Sono tanti argomenti per 114 minuti di pellicola. Per coglierli tutti, davvero non può bastare un’unica visione.

Barbie Land: un’utopia o una distopia?

Nei primissimi minuti del film – dopo una brillante citazione di 2001: Odissea nello spazio – ci troviamo catapultati nel mondo tutto rosa di Barbie Land, una realtà che sembra tanto ideale quanto invidiabile. Il governo è in mano alle donne e tra le sue strade vige la sorellanza, l’allegria e la solidarietà. Le case sono da sogno, gli abiti alla moda, i piedi toccano terra solo quanto necessario. Tuttavia, non è tutto così brillante come sembra. Le premesse per la crisi camminano per le strade attraverso i corpi dei Ken.

Il Ken protagonista (Ryan Gosling) vive all’ombra di Barbie (Margot Robbie). La voce narrante e lo slogan presente nel manifesto del film – che ha infastidito moltissime persone tanto da non portarle neanche in sala – lo dicono chiaramente:

She’s everything. He’s just Ken.

“Lei è tutto. Lui è solo Ken.”

Ken non ha una identità, non ha obiettivi, non ha altro motivo per stare al mondo se non l’essere guardato e salutato da Barbie. Per ottenere quello sguardo deve inevitabilmente competere con gli altri Ken e lo fa sfogando contro di loro tutta la frustrazione e la rabbia provata per non essere amato da Barbie. Quest’ultima, infatti, non è del tutto consapevole dei sentimenti provati dall’amico e lo considera come un essere superfluo, non molto intelligente né interessante.

Se c’è un altro limite che possiamo individuare nel mondo di Barbie Land è la presenza di empatia e di comprensione solo per il simile. Le Barbie si spalleggiano a vicenda, ma solo tra loro. Chi esce fuori dai canoni della perfezione (vedi Barbie Stramba) viene emarginata e trattata con superficialità.

Questo mondo è al tempo stesso opposto e simile al nostro. Barbie Land potrebbe rispecchiare quella che era la vita nel passato: governi fatti da soli uomini per gli uomini e donne considerate come meri accessori domestici. È una realtà molto meno violenta, con valori alla base idealmente positivi, ma con un’applicazione non sempre giusta.

È chiaro, quindi, che deve avvenire un cambiamento. Un po’ perché nella vita accade sempre, un po’ perché le ingiustizie vengono sempre combattute.

La parità è ciò per cui dovremmo batterci

La risposta di Ken al suo essere insignificante è il patriarcato, organizzazione che ha modo di conoscere accompagnando Barbie nella realtà. Dopo solo poche ore passate nel nostro mondo, la bambola capisce che può acquisire valore circondandosi di cose cool e “maschie” (e qui si potrebbe aprire una grande parentesi su come il capitalismo ci illuda che siamo ciò che abbiamo). La pelliccia, gli attrezzi della palestra, la casa dal look western, il fuoristrada, la birra. Impossessandosi di oggetti grandi e potenti, Ken sente crescere la sua importanza e anche la voglia di riscatto sulla donna che non lo ha mai amato.

Ken toglie a Barbie tutto ciò che ha (casa, amiche, mondo) e la umilia pubblicamente. La scena è molto violenta, al di là delle battute comiche che la compongono, e l’eco delle storie reali è tangibile. Trattandosi di Barbie Land, però, l’uomo non è destinato ad averla vinta e sarà proprio l’ossessione per Barbie a segnare la sconfitta definitiva dei Ken. Le bambole, infatti, sapranno sfruttare questa debolezza a loro vantaggio per riportare l’ordine, ma non potranno fare a meno di interrogarsi su quanto avvenuto: non ha funzionato il mondo con a capo le donne, non ha funzionato il mondo con a capo gli uomini. Cosa può funzionare, allora? Il mondo femminista, ovvero quello basato sulla parità e sull’equità tra i due generi. Un mondo utopico che non si realizza alla fine del film neanche in Barbie Land (altra nota che ho trovato molto interessante del film ovvero la disillusione), ma di cui tutti/e, Barbie e Ken, iniziano a essere più consapevoli. Come? Rendendosi padroni/e della loro vita e trovando un significato alle loro esistenze che esuli da quella degli/lle altri/e.

Autosufficienza e autodeterminazione sono concetti importanti validi tanto per Ken, quanto per noi… e per Barbie, ovviamente.

Un film femminista oppure no?

È chiaro che il film si schiera apertamente a favore delle donne. Greta Gerwig, d’altra parte, ha chiarito più volte la sua posizione in merito.

Pur rappresentando un’ipotetica società matriarcale con alcuni difetti, il film è pieno di inni al girl power e il lungo monologo di America Ferrera è una sintesi semplice, chiara e incisiva di che cosa significhi – e forse ha sempre significato – essere donne oggi.

L’aspetto femminista – come la presenza del rosa (!!) – ha fatto storcere il naso a molte persone, inutile negare che la maggior parte di esse siano uomini. Personalmente, posso capire che i toni appassionati, determinati e accesi possano essere interpretati come aggressivi così come posso capire la paura di essere emarginati o discriminati per qualcosa di cui non si è responsabili, come il proprio genere. Ma quello che non capisco è perché non si possa fare il passo successivo, ovvero rispecchiare le proprie emozioni nell’altro/a. Perché non si riesce a capire che i toni perentori o anche arrabbiati di molte donne che rivendicano i loro diritti è frutto di una continua sensazione di inadeguatezza, di imperfezione, di paura, di ansia da prestazione, di domande su che cosa si dovrebbe fare?

La disparità tra i generi è una realtà. Non è quella dell’inizio del XX secolo (grazie al cielo!), ma ci sono delle cose che non funzionano e non riconoscerlo e non preoccuparsi di questo non è un bene per la società in cui viviamo. Né per le donne, né per gli uomini che potrebbero trarre tanti benefici loro stessi dalla lotta agli stereotipi culturali e sociali legati al genere.

Io credo che l’arco narrativo di Barbie sia sufficiente a far capire che non c’è alcun intento di prevaricazione, ma solo la volontà di costruire un mondo più sano, più equilibrato e più giusto per tutti/e. Un mondo utopico a cui dobbiamo credere se vogliamo vivere meglio. Se invece di irritarci per un monologo, per il rosa oppure per la stupidità degli uomini del film leggessimo tra le righe, potremmo capirne le intenzioni e trarne il giusto insegnamento.

Barbie Stereotipo

La scelta di avere Barbie Stereotipo come protagonista, oltre ad avere perfettamente senso visto che la maggior parte di noi pensa alla fisicità di Robbie quando pensa alla bambola, permette di parlare di un altro tema tanto classico quanto complesso: la perfezione.

Fin dall’antichità sono stati stabiliti dei caratteri fisici e morali che rappresentavano l’ideale verso il quale orientare aspetto e comportamento. Molti di questi tratti sono giunti fino a noi oggi, portandoci a credere (anche inconsciamente) che sia effettivamente possibile definire in maniera oggettiva il “bello” e il “buono”. Fortunatamente, la tendenza generale è quella di andare oltre il preimpostato e di dare a quei termini dei significati più ampi e soggettivi. Eppure, l’idea di essere perfetti è qualcosa che continuiamo a portarci dentro.

Per le donne essere belle è sempre stato un imperativo, proprio come il dover essere delle mogli e delle madri. Se non essere nate bionde, magre, con la pelle chiara e gli occhi azzurri può essere una tragedia, rispecchiare questo preciso canone lo è (forse) ancora di più. La piacevolezza fisica è spesso associata all’immagine della femme fatale. Chi si ricorda Elena di Troia dell’Iliade? È il personaggio giusto per spiegare questo concetto: la donna bella spesso viene presa per una donna pericolosa e stupida. Questo succede anche con Barbie Stereotipo.

In Barbie Land quasi tutte le Barbie sono donne in carriera oppure hanno compiuto grandi gesta. La protagonista, la bambola a cui tutti pensano quando si pensa a una Barbie (lo ripeto appositamente), no. Lei è solo perfetta fisicamente e caratterialmente (ha un sorriso smagliate, voglia di divertirsi, placa conflitti, sostiene le amiche). Nel momento in cui la sua perfezione inizia a incrinarsi, viene meno anche la sua ragione di essere e la bambola attraversa una profonda crisi d’identità che la porterà a scegliere di diventare umana e di abbracciare l’imperfezione che per tanto tempo ha respinto.

La vita umana, così piena di alti e bassi, di gioia e di dolore, di vita e di morte – come si vede nella scena in cui Barbie è seduta alla fermata degli autobus -, diventa più appetibile del mondo utopico in rosa poiché solo in quell’altalena di emozioni e di situazioni è possibile spaziare e poter essere tanto altro da quello che si pensava. Barbie sceglie di essere la mente creativa, non l’idea. Diventa la narratrice della sua storia.

Io credo che, al di là del discorso sulla bellezza e sulla perfezione, ognuno di noi possa identificarsi nella crisi esistenziale di Barbie. Arriva sempre il momento in cui si fatica a riconoscersi in un’azione che si è compiuta, in un’emozione provata, in una situazione in cui ci si ritrova. Questa è la vita: un’occasione per scoprire noi stessi/e non solo per come vorremmo essere, ma anche per come siamo e potremmo essere.

Il personaggio di Sasha

Durante la prima visione non avevo particolarmente apprezzato la costruzione del personaggio di Sasha. Avevo trovato il suo cambiamento un po’ troppo repentino. Mi sembrava che le posizioni molto nette e decise fossero state cancellate completamente dalla semplice visione del rosa. Dopo aver rivisto il film, mi sono resa conto che quello che non si dice, si mostra: l’ammorbidimento generale si può notare, infatti, attraverso diversi primi piani dell’attrice.

Del suo personaggio è particolarmente interessante la trasformazione del look che sottolinea il cambio di percezione della propria femminilità.

Sasha è un’adolescente e come tale è una contestatrice. Ha idee progressiste frutto del mondo in cui vive che sono giuste, ma radicali e mancano completamente di empatia (pensiamo al primo incontro con Barbie o ai ricordi della madre). Il suo rifiuto del rosa a favore del nero o dei toni più scuri (visibile nell’abbigliamento iniziale) è il rifiuto di un concetto di femminilità domestica e principesca che si porta dietro tanti significati culturali socialmente fraintesi tanto da diventare soffocanti per le stesse donne. Il rosa è il colore della dolcezza, della delicatezza, del romanticismo e questo è stato spesso tradotto nella realizzazione di personaggi femminili esteticamente perfetti privi della volontà di autodeterminarsi e dediti soprattutto alla famiglia. Sasha opta inizialmente per una femminilità più mascolina che la porta a “fare la dura” pur di essere presa in considerazione. L’incontro con Barbie e l’avventura nel suo mondo la porta a conoscere in maniera più profonda il mondo della madre e a capirne la complessità e le sfumature. Vedendola indossare un vestito rosa con dei dettagli neri alla fine del film capiamo che la ragazza è riuscita finalmente ad accogliere il mondo femminile senza pregiudizi, combinandolo con ciò che sente.

I problemi del film

Mi sembra giusto parlare anche delle note dolenti di Barbie.

1. L’eccesso di didascalismo

Iniziamo con il dire che il film è molto didascalico. Il tema femminista e la contrapposizione tra Barbie Land e il mondo reale sono raccontati verbalmente in modo da non lasciar ricostruire quasi nulla a chi sta guardando. In realtà, di significati da ricostruire ce ne sono tanti, ma apparentemente non sembra.

La verbosità del film, almeno durante la prima visione, mi ha spinta ad un certo punto a spegnere il cervello per cui, arrivata alla scena del dialogo finale tra Ruth e Barbie, non sono riuscita a seguire quello che si dicevano. Dopo averlo sentito una seconda volta, mi sono resa conto di essermi persa uno dei temi secondari più interessanti (e anche uno di quelli che non ti viene buttato addosso) del film.

Con un’amica esperta di sceneggiatura ragionavamo sul fatto che il didascalismo potrebbe essere considerato non tanto un errore di scrittura quanto una questione di gusto. Personalmente, mi è pesato di meno durante la seconda e la terza visione e mi sono chiesta se ci potesse essere un motivo alla base degli spiegoni. È vero che si tratta di un film che punta ad un pubblico ampio (anche molto giovane) e che vuole una volta per tutte chiarire che cosa sia il femminismo e perché sia così importante combattere per la parità di genere. Di conseguenza, la chiarezza e l’inequivocabilità del messaggio diventano fondamentali. C’è da dire, però, che la maggior parte degli interventi didascalici riguarda le bambole che, per quanto affrontino discorsi filosofici, rimangono bambole. Hanno atteggiamenti semplici, caricati, a tratti ingenui. Che loro sottolineino ciò che accade è plausibile. È come il bambino o la bambina che mentre gioca racconta ciò che sta facendo.

Questo, però, non significa che io da spettatrice/spettatore non possa esserne infastidita/o o che non mi possa pesare.

2. L’obiettivo della dirigenza della Mattel

L’errore di scrittura sta, invece, nella mancanza di senso narrativo del gruppo dirigente (tutto maschile) della Mattel. A parte far ridere (“Io sono il nipote di una zia donna” rimane per me uno dei momenti comici più alti della pellicola) e rappresentare il lato consumistico e capitalista di Barbie, questi uomini vengono presentati nella storia come un possibile, grande ostacolo per la nostra eroina salvo poi rivelarsi nel finale completamente inutili.

Ad ogni visione trovo sempre più imbarazzante l’intervento in cui il CEO invita tutti a farsi il solletico perché è completamente privo di contesto. Sono gli unici che ci impiegano giorni per arrivare dal nostro mondo a Barbie Land (che poi, visti i tipi, può anche essere comprensibile) e una volta arrivati non fanno nulla se non aiutare a chiudere il ciclo narrativo della mamma proprietaria di Barbie.

3. Uomini trattati male?

Una delle critiche che ho letto spesso in merito a Barbie riguarda la rappresentazione degli uomini nel film. Molti sostengono che non bisogna trattare male gli uomini per dare rilievo alle donne.

È vero, è inutile negarlo: gli uomini non escono molto bene dal film. I Ken sono tutti piuttoso stupidi e ridicoli. Gli uomini del nostro mondo sono violenti e porci. Il marito di Gloria, invece, non si capisce che tipo di problemi abbia.

È necessario presentare male gli uomini in un film femminista? No, assolutamente. Poteva esserci una figura maschile positiva? Assolutamente. Ma al cinema esistono tantissimi personaggi che non possono essere presi a modello o che vengono ritratti come macchiette. Barbie, tra l’altro, si presta a usare toni esagerati nella rappresentazione del proprio mondo. È tutto amplificano ed estremizzato.

Per anni, al cinema, sono comparse figure femminili che fungevano più da accessorio che non da personaggi. Donne che servivano più a soddisfare lo sguardo maschile che non a portare avanti la storia. Devo considerare quei film brutti solo perché le donne sono macchiette? Sarebbe impensabile soprattutto se non si considera l’epoca in cui sono stati girati.

Io adoro Il Signore degli Anelli da sempre. Quando avevo tredici anni, immaginavo di essere il decimo membro della Compagnia perché volevo essere parte di tutta l’azione pur essendo donna. Non avevo un personaggio femminile con cui identificarmi che fosse sempre sullo schermo, ma questo non mi ha impedito di amare o di apprezzare la trilogia di Jackson. Sarebbe bello non vedere tutta questa indignazione solo perché per una volta il modello a cui ci si potrebbe ispirare è femminile.

Tra l’altro, tutto questo discorso non tiene conto del fatto che il personaggio di Ken è scritto e interpretato veramente bene. Andando oltre l’esagerazione che è parte del linguaggio del film, si può vedere un essere umano con motivazioni perfettamente comprensibili tanto che, alla fine, si è contenti di vederlo raggiungere il suo happy ending.

Un film da vedere

Barbie è un film che va visto perché, che piaccia o meno, rappresenta una tappa fondamentale della storia del cinema.

Se anche ci possono essere dei limiti a livello di sceneggiatura, bisogna riconoscere che la scenografia è spettacolare, le interpretazioni impeccabili e la colonna sonora coinvolgente. Si parla di femminismo, di vita, di crescita, di capitalismo, di genitorialità e il tutto facendo ridere ma anche emozionare. E poi è rosa. Nel caso non vi piacesse il colore, tranquilli/e: ce n’è di ogni sfumatura.

Lo definirei perfetto? Assolutamente no, ma d’altra parte accettare l’imperfezione è parte integrante del messaggio che vuole lasciare la pellicola.

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