“Cindy Sherman: Tapestry”, una mostra per riflettere sui filtri Instagram e l’identità

“Cindy Sherman: Tapestry”, una mostra per riflettere sui filtri Instagram e l’identità

Un filtro Instagram è un contenuto che proietta elementi 2D o 3D in un ambiente reale. È un effetto di realtà aumentata che viene aggiunto alla fotocamera prima di scattare una foto o un video.

Negli ultimi anni, grazie ai filtri, abbiamo giocato con la nostra immagine, aggiungendo e togliendo anni, immaginandoci con la barba, con le orecchie da cane, con la faccia triste da maschera teatrale o circondati di cuoricini per un reel di San Valentino. Ma il gioco è bello quando dura poco: gradualmente ‘filtrarsi’ è diventata la normalità, è ormai impossibile capire chi o cosa stiamo vedendo. Una pelle senza pori, senza un neo, senza una ruga? No, non esiste, eppure la bellezza che creano i filtri dà una sorta di dipendenza.

Non solo: quella bellezza virtuale e irraggiungibile è diventata canone estetico nella realtà analogica. Il make up correttivo, il contouring, il trucco “effetto photoshop” portano a un desiderio di essere perfetti sembrando naturali, ma con quattro strati di fondotinta.

In conclusione, anche se tutti sanno che l’immagine filtrata è migliorativa ma artificiale, e nonostante siano diventati virali molti reel in cui si svela il viso vero e il viso filtrato, è quasi impossibile vedere sui social un selfie nature. Ma l’immagine che vogliamo dare di noi stessi, ha comunque diritto ad una sua dignità? Un avatar che ci fa sembrare molto più belli o più capelloni o più sorridenti o più magri è una forma di arte? Di proiezione del sè?

“Cindy Sherman: Tapestry”, una mostra sull’identità

Cindy Sherman non ha bisogno di presentazioni. Fotografa, artista, regista, ha speso la sua vita in una costante ricerca sull’identità. Le maschere, i clown, il cinema, le muse, il femminile, le fotografie: tutta la sua opera indaga i volti e le figure, lo spostamento del concetto di corpo e della consapevolezza di sé.

Nel 2017 inizia ad esplorare le varie piattaforme che permettono di modificare il proprio volto, si scatta numerosi selfie con vari effetti. Il risultato, pubblicato sul suo profilo Instagram, è piuttosto straniante. Cindy diventa aliena, vecchia, uomo, bambina, iperfemminile, deforme, una caricatura di se stessa. Ma se questa è l’arte del XXI secolo, la Sherman vuole necessariamente metterla in comunicazione con un’arte invece molto molto antica, quella dell’arazzo e del cucito.

I suoi selfie diventano maxi arazzi, ad ogni punto cucito corrisponde un pixel, in un incontro emozionante tra il contemporaneo e un’arte fiamminga risalente al 1400, che non ha mai smesso di esistere e i cui maggiori esponenti hanno lavorato proprio per Cindy Sherman.

Potete vedere questa intensa mostra fino al 5 giugno, all’ ARoS Kunstmuseum di Aarhus, in Danimarca, uno dei musei più belli che abbia mai visitato nella mia vita. L’ultimo piano, infatti, è una passerella circolare circondata da vetri nei colori dell’arcobaleno. Si chiama My Rainbow Panorama e l’ha creata Olafur Eliasson, un vero archistar danese.

Micaela Paciotti

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