“Rimpatriati”: storie di persone tornate a “casa”
Secondo un report Istat pubblicato il 9 febbraio 2023:
Questo significa che i trasferimenti all’interno dei confini italiani sono aumentati. Ma qual è l’identikit di chi va via? Ha un’età compresa tra i 25 e 34 anni, quindi è giovane ed è acculturato, perché possiede la laurea o un titolo superiore a questa.
Generalmente i flussi migratori vanno da Sud verso Nord – sono circa 1 milione 138mila i movimenti in uscita dal Sud e dalle Isole verso il Centro-nord – ma c’è anche una rotta inversa – sono 613mila che dal Settentrione vanno verso il Meridione.
Su questa minoranza si concentra la mia attenzione: tra queste 613mila persone ci sono i “rimpatriati”, persone che avevano lasciato la propria terra di origine in cerca di opportunità, nella speranza di costruire un futuro migliore ma che, dopo un periodo più o meno lungo, hanno deciso di rientrare a “casa”.
“Rimpatriati“: una nuova rubrica su TrentaQuaranta
È questo proprio il mio caso: io sono una “espatriata” che poi ha deciso di rimpatriare. Ero erroneamente convinta che la mia scelta fosse unica e rara, ma guardandomi attorno mi sono resa conto che altri hanno preso la mia stessa decisione. Ho deciso quindi di creare questa rubrica intitolata “Rimpatriati“, che uscirà una volta al mese.
Troverete nella mia stanza, La stanza di Valeria, ogni mese un’intervista con cui racconterò la storia di una persona rientrata nella sua terra di origine scoprendo le motivazioni e le casualità che hanno portato a questa difficile o semplice – in base ai casi – scelta di vita partendo dalla mia storia.
La mia storia
Mi chiamo Valeria e ho 37 anni. Da che ne ho memoria sono sempre stata una persona irrequieta, curiosa e indipendente.
Pur essendo cresciuta in una famiglia accogliente, amorevole, liberale, benestante – che mi ha permesso sempre di fare nuove esperienze, sport, vacanze, viaggi studio- o forse proprio in virtù di questo, ho sempre sognato di andare via per vedere il mondo e per cercare la mia strada.
Quando poi mi sono laureata in Scienze della Comunicazione, è arrivata la possibilità concreta di andare via e non me la sono lasciata scappare.
Mi sono trasferita a Bologna nel 2007 e mi sono iscritta all’Alma Mater per conseguire la laurea magistrale in Cinema e televisione. Sono stati anni di grande crescita personale in una città sconosciuta dove sono ripartita da zero. Non avevo nessuno inizialmente: né amici, né parenti, né conoscenti. Eppure ricordo quegli anni come i più divertenti della mia vita.
Ho potuto costruirmi una nuova identità che fosse realmente mia, ovvero slegata dal “di chi sei figlia”, “che compagnia frequenti”, “a che scuola sei andata” (fattori che nella provincia contano eccome nella definizione del sé).
Mi sono laureata e mi sono trasferita a Milano, dove ho frequentato un Master alla Cattolica, decisa a inseguire il mio sogno di lavorare nell’audiovisivo. Anche qui sono ripartita da zero: nuova casa, nuovi coinquilini, nuovi compagni di classe. Per Milano ho avuto una crash immediata: qui si respira libertà. Puoi essere chi vuoi, vestirti come vuoi, appartenere alla comunità che scegli. Io, per esempio, ho deciso di frequentare i circoli Arci, le discoteche che organizzavano la serata rock anni Settanta, i locali dove si ascoltavano concerti dal vivo. Insomma per me Milano è il paradiso. Uso il presente perché lo è ancora nella mia testa.
Non ho mai sentito nostalgia della mia città di origine. Avevo trovato il mio posto speciale, facevo il lavoro per cui avevo tanto studiato, ero completamente concentrata sulla carriera. “Non mi voglio sposare e non voglio avere figli” pensavo e dichiaravo senza nessuna remora. Mi mancavano i miei genitori, mio fratello e i miei amici ma, in qualche modo, trovavo il modo per coltivare questi rapporti a distanza.
Passano una decina d’anni.
Durante una vigilia di Natale, a una cena tra amici, conosco un uomo di cui mi innamoro, con il quale inizia una storia a distanza, forte e intensa.
A partire da questo momento ogni tanto, soprattutto a fine anno quando facevo il bilancio, mi sono guardata alle spalle e ho pensato: “Quindi? Ho superato i 30 anni e dove sono arrivata?”.
Da un punto di vista strettamente professionale avevo soddisfatto tutte le ambizioni ma sentivo che mi mancava qualcosa. E poi la verità è che, a volte, quando si raggiunge l’obbiettivo prefissato poi quello stesso traguardo assume un valore inferiore. Lo si guarda da una prospettiva differente: non è più davanti, è indietro. Il lavoro che era sempre stato al primo posto nell’ordine delle priorità non mi dava più le soddisfazioni di un tempo. Inoltre, del settore in cui lavoravo, rifiutavo fortemente certe dinamiche radicate, come la costante sensazione di urgenza e la perenne reperibilità.
Spesso scherzando sul set, per ridimensionare il clima di tensione, ci si diceva: “Ricordiamoci che non stiamo operando a cuore aperto”.
Poi vengo temporaneamente trasferita a Roma, una città lontana da me e dal mio modo di vivere. E qui, mentre sono già emotivamente provata, succede l’impensabile: nel giro di due settimane un mio collega muore a causa di un cancro fulminante. Questo avvenimento mi ha spinta a riflettere sulla brevità della vita (mi sono sentita una Seneca post litteram) e mi ha portata, giorno dopo giorno, a meditare su quale fosse il mio posto nel mondo, finché un pomeriggio, passeggiando tra le strade di Prati, ho avuto un’epifania: dovevo tornare nella mia città di origine e così ho fatto.
Molti amici e conoscenti hanno pensato che fossi pazza, che la mia fosse una decisione istintiva e avventata. Oggi a cinque anni dal rientro posso dire di non essermi mai pentita della scelta fatta.
Ho dovuto rinunciare al lavoro nelle redazioni televisive; ho fatto a meno dei rapporti quotidiani con colleghe che erano più sorelle che amiche; ho lasciato la possibilità di avere delle opportunità culturali che solo a Milano si trovano.
È stata dura scoprire che qui i creativi senior vengono pagati quanto uno stagista; è stato incredibile ritrovare una mentalità provincialotta per la quale l’apparire è più importante dell’essere. Nella provincia non c’è la libertà della città e, a volte, si sente odore di ristagno di posizioni poco liberali, talvolta razziste e omofobiche, in generale intolleranti.
Il rientro è stato dolce-amaro, ma, nel mio orto di legami affettivi, ho ritrovato una serenità impagabile e sono circondata d’amore come mai prima di adesso. Questo è il posto giusto per me ora, per me e per la mia bambina treenne. Poi chissà, magari espatrio di nuovo o magari mi fermo. Le novità non mi spaventano, le avventure mi elettrizzano da sempre.
Rimpatriati è una rubrica dedicata a chi è tornato a casa e a chi vorrebbe tornare ma non ha ancora trovato il coraggio di fare la valigia. La grafica è di Marisa Tammacco.
Valeria de Bari
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