Se Milano avesse il mare sarebbe come una piccola Trani?

Se Milano avesse il mare sarebbe come una piccola Trani?

“Rimpatriati”: la storia di Francesca

Ho avuto difficoltà nelle piccole cose: non sapevo che alcuni negozi avessero chiuso, non ricordavo i nomi delle strade, cose così. Per il resto mi sono goduta il vivere lento di Trani, le passeggiate terapeutiche al mare, l’aria pulita. È stato un ricongiungimento con la mia vita.

Francesca

Io e Francesca ci conosciamo da qualche anno. Lei stava insieme a una mia amica di infanzia. Poi, come spesso accade, loro si sono lasciate e noi siamo rimaste amiche, forse perché condividiamo interessi, valori, opinioni politiche e cultura.

Abbiamo entrambe vissuto a Milano. Io sono tornata a vivere in Puglia nel 2018, lei lo scorso settembre e, ironia della sorte, riuscivamo a beccarci più spesso quando abitavamo in regioni diverse che adesso che siamo a soli 15 km di distanza. Non siamo state in grado di trovare una data utile neanche per fare questa intervista dal vivo; quindi ci siamo parlate al telefono mentre io ero comodamente incollata al mio divano e lei in macchina, in viaggio verso la Campania per andare ad adottare un bassotto di nome Nanni, in onore di Nanni Moretti.

Me la immagino con gli occhiali da sole, i capelli mossi spettinati e la sigaretta tra le dita.

Ciao Francesca, qual è la tua storia? Quando hai deciso di andare via da Trani?

Ho deciso di partire nell’autunno del 2018, in seguito a una serie di vicissitudini legate a una storia d’amore durata quindici anni, che in quel momento è finita. C’era un nuovo amore che stava nascendo, con una persona che abitava vicino a Milano e che poi sarebbe diventata la mia compagna. C’era anche la necessità di fare nuove esperienze a livello professionale, perché l’attività lavorativa che svolgevo non mi appagava più. Avevo bisogno e sete di conoscenza.

Come Ulisse (rido alla mia stessa battuta). Di cosa ti occupavi tu a Trani?

Ero la presidente di una cooperativa che ho fondato con la mia migliore amica nel 2011 e che gestiva un centro ludico dedicato alla prima infanzia e, da educatrice, sentivo che mi mancava tutta la professionalità legata alle comunità di adolescenti. Una mia amica in quel periodo lavorava a Milano proprio in uno di questi centri, mi aveva detto che cercavano personale, per cui ho mandato il mio curriculum e ho partecipato a ben sei selezioni per poter essere poi presa. Dal primo ottobre del 2018 ho quindi iniziato a lavorare come educatrice in una comunità residenziale con minori di età compresa tra i 9 e i 12 anni.

Com’è stato vivere a Milano?

Milano è bella, è una città che ti permette di sperimentare tutto nelle ore che vuoi. Io partivo corazzata per affrontare una città del genere, perché ho imparato a non essere travolta dal mio lavoro. Questo esercizio, di fermarmi un attimo prima di cadere, mi è servito anche a non essere risucchiata da Milano. Qui se non sei in grado di prenderti spazi e tempi di decompressione e di respiro vieni inghiottito dal vortice casa-lavoro e finisci per aderire allo stile di vita del classico milanese: lavorare dal lunedì al venerdì nella perenne attesa del weekend.

Per vivere la famosa “Milano da bere”.

Ecco io a Milano non ho fatto molta movida, perché il mio modo di essere non lo prevedeva, però ho vissuto l’attivismo, la cultura, le presentazioni di libri, le mostre. Considera che nei primi anni ho lavorato su turni, quindi avevo molto tempo libero in settimana da dedicare alla città … me la sono proprio goduta Milano nel bene e nel male. L’altro risvolto della medaglia è il costo della città. Pensa che vari stipendi se ne sono andati per pagare le multe. Nelle rotonde di Milano ci sono i semafori. Io, abituata alle rotonde di Trani, mi facevo le rotonde senza fermarmi, del tutto inconsapevole delle multe salate che avrei ricevuto. Il primo anno ho preso le multe, il secondo anno l’ho passato a pagarle le multe (ride ndr).

Dal punto di vista dei servizi Milano è efficientissima, puntuale, smart. Questa cosa mi piace tantissimo perché io sono una persona molto puntuale. Poi tutto l’hinterland milanese dal punto di vista naturalistico è fantastico: la montagna, le valli, i laghi regalano paesaggi bellissimi. Certo a Milano non c’è il mare. Nei primi tempi mi sentivo spaesata e chiedevo ai colleghi milanesi: “Ma voi quando dovete pensare dove andate?”. Io andavo al mare, quindi mi sentivo persa. Loro mi rispondevano “Uè figa andiamo al lago”. Ma il lago non è come il mare. Ha un confine, non vedi la linea dell’orizzonte, non hai la percezione dell’infinito. Questa risposta mi lasciava interdetta.

Nonostante questo mi sono sentita accolta da Milano, mi ha fatto crescere tanto dal punto di vista professionale e personale, perché ho vissuto da sola con Pound, il mio cane.

Al di là della professione sei riuscita a costruirti una nuova vita affettiva a Milano?

Inizialmente è stato faticoso. Ci ho messo un anno a capire dove mi trovassi. Lavorare su turni non mi permetteva di incontrarmi con gli amici. Col tempo sono riuscita a gestire meglio i tempi e a costruire una serie di relazioni sia amicali sia proprio affettive, con altre donne.

Che ruolo ha giocato la tua omosessualità nell’andare via da Trani e nel vivere Milano?

La verità è che non ho mai avuto paura di non essere accettata dalla mia città. La persona che amavo all’epoca però è una donna, quindi la scelta di andare a vivere a Milano è dipesa anche dal voler raggiungere, avvicinarmi quantomeno alla mia ex compagna. La mia omosessualità ha giocato un ruolo importante in questo senso. Una volta che ho capito di essere gay, quando l’ho ammesso a me stessa e tutto è diventato chiaro e limpido ai miei occhi mi è venuta la voglia di conoscere. Quindi quella proposta lavorativa era caduta al momento giusto. Era come se si fosse chiuso un cerchio. Tutte le variabili mi portavano a volermi conoscere ed esplorare come persona omosessuale, cosa che non avevo mai fatto, e come persona in generale.

Milano ti ha dato la possibilità di esprimere la libertà di essere te stessa a 360 gradi.

Assolutamente sì, non solo in termini di omosessualità. Ho potuto fare attivismo, seguire le mie passioni. Ho avuto la possibilità di vedere le mie fotografie esposte in una mostra intitolata Tempo sospeso. Milano mi ha permesso di esprimermi totalmente. Tutto quello che vuoi realizzare a Milano lo puoi fare.

Ti vedevi a Milano nel tuo futuro?

In realtà ho sempre pensato che Milano non sarebbe stata la città in cui sarei morta, diciamo così. Pensavo che ci sarei rimasta, anche per 10 o 15 anni, ma sapevo che sarei tornata. Mi sono sempre scontrata con chi andava via e parlava male della sua terra d’origine. Io dicevo “Resta qui, prova a cambiare qui le cose”. Uno dei motivi per i quali sono tornata è proprio questo. Io volevo crescere, imparare e tornare per portare a Trani tutto quello che avevo imparato. La comunità di Milano mi ha insegnato un modello educativo che sto cercando di portare nella mia città. Mi sono sempre immaginata il mio rientro con tutto il bagaglio di nozioni e competenze apprese nel corso del periodo passato fuori. Io sono sempre stata molto legata alle mie origini, alla mia terra, ai miei cari. Non ho mai interrotto i rapporti, le amicizie, anzi la lontananza le ha rafforzate.

Quando hai deciso di tornare?

L’occasione l’ho cercata per motivi personali, legati al bisogno di stare vicina alla mia famiglia in un momento delicato. Io mandavo cv da Milano e l’opportunità è arrivata a fine estate 2023. Nell’azienda di Milano non potevo più crescere perché ricoprivo già il ruolo di coordinatrice di due comunità per adolescenti. Ho sentito che il mio tempo a Milano era terminato. Aggiungici la questione familiare…sono tornata giù senza rammarico, senza pentimento.

Non è stato brusco il cambiamento?

Per il primo mese sì. Ho avuto difficoltà nelle piccole cose: non sapevo che alcuni negozi avessero chiuso, non ricordavo i nomi delle strade, cose così. Per il resto mi sono goduta il vivere lento di Trani, le passeggiate terapeutiche al mare, l’aria pulita. È stato un ricongiungimento con la mia vita.

Rimpatriati è una rubrica dedicata a chi è tornato a casa e a chi vorrebbe tornare ma non ha ancora trovato il coraggio di fare la valigia. La grafica è di Marisa Tammacco.

Valeria de Bari

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