
I Coldplay e la magia del “Live at River Plate”
Assistere al concerto della propria band preferita, che sia dal vivo o attraverso uno schermo, è sempre un’emozione. Se poi questa band si chiama Coldplay, allora la magia è assicurata. Sembra, infatti, di cader preda di un incantesimo quando sulle note della colonna sonora di ET l’extraterrestre si scorgono le immagini di uno stadio gremito. È così che inizia il Live at River Plate, trasmesso in oltre 80 paesi in tutto il mondo. Come avevamo anticipato, si tratta del concerto di Buenos Aires che era stato già trasmesso in diretta lo scorso ottobre e che adesso è stato impreziosito da un montaggio spettacolare e arricchito da un documentario finale con filmati tratti dal backstage e interviste inedite.
L’omaggio al popolo iraniano
Le oltre due ore del film scorrono velocemente senza che ce ne si accorga. Si passa dalle hit allegre e movimentate ai momenti più intimi e suggestivi. Uno di questi è quando i Coldplay sono stati raggiunti sul palco dall’attrice iraniana Golshifteh Farahani e insieme hanno eseguito una canzone in lingua farsi intitolata Baraye. Il testo del brano scritto dal venticinquenne Shervin Hajipour è composto da messaggi che gli iraniani hanno pubblicato online dopo l’inizio delle manifestazioni nel Paese ed elenca tutti i motivi per cui hanno iniziato a protestare in seguito alla morte della giovane Mahsa Amini. Durante l’esecuzione cala un silenzio surreale, allo stadio ma anche in sala.
La collaborazione con Jin e i BTS
Particolarmente atteso era l’arrivo di Jin, famoso membro dei BTS. Il giovane coreano ha eseguito The Astronaut, un brano scritto per lui dai Coldplay per salutare i suoi fan prima della partenza per il servizio militare. Per circa due anni la band asiatica, infatti, non potrà fare musica poiché tutti i membri dovranno svolgere la leva obbligatoria. È interessante il discorso che Chris fa prima di annunciare il suo ospite. Parla di diversità e pregiudizi, che tutti abbiamo in quanto esseri umani. Gli stessi che aveva anche lui inizialmente quando gli fu proposta la collaborazione con i BTS, poiché avevano uno stile completamente differente dal loro. Solo conoscendo in maniera più approfondita l’altro, ci accorgiamo, però, che i pregiudizi sono soltanto tali e possiamo superarli riscoprendo i sentimenti di amore e solidarietà che contraddistinguono (o almeno dovrebbero) la nostra specie. Insieme ci si completa, si può collaborare e creare qualcosa di bello, proprio come hanno fatto i Coldplay e i BTS.
Believe in love
Due sono i messaggi fondamentali, quasi degli slogan o dei mantra, che la band vuole trasmettere ai suoi fan: “Everyone is an alien somewhere” (ognuno è un alieno da qualche parte) e “Believe in love”(credete nell’amore). Le frasi, che appaiono scritte sui maxischermi e anche sulle magliette indossate dal gruppo, sono molto semplici ma importanti da tenere a mente. Insieme a un’altra citazione dell’era di Everyday life, ossia “Music is the weapon” (la musica è l’arma), potremmo dire che queste affermazioni rappresentano i principi su cui si fonda l’intera carriera dei Coldplay.
C’è un’impellenza di umanità nella loro musica. Chris Martin richiama più volte l’aspetto comunitario dell’evento, il fatto di condividere tutti insieme un’esperienza. Lo fa, per esempio, chiedendo al pubblico di non utilizzare gli smartphone durante l’esecuzione di A Sky Full Of Stars per godersi il momento “dal vivo” oppure di cantare non tutti rivolti verso il palco, ma gli uni agli altri lungo lo stadio.
Il documentario finale
Il concerto è strepitoso così come ce lo ricordavamo, la qualità audio e video nettamente superiore alla prima trasmissione in diretta, ma a livello di contenuti ci aspettavamo forse qualcosa in più. I filmati del backtstage e le interviste si limitano, infatti, a una decina di minuti finali durante i titoli di coda in cui si parla principalmente del rapporto della band con la città di Buenos Aires e delle scelte del regista Paul Dugdale. È vero che tanto viene spiegato dallo stesso Chris Martin nel corso del concerto e quindi forse si è scelto di dare maggior risalto alle sue parole e allo spettacolo in sé. Un documentario più corposo avrebbe probabilmente messo in secondo piano la grandiosità e la suggestività del concerto.
Si esce dalla sala del cinema in uno stato d’animo di gioia e commozione, impazienti di assistere a questa magia finalmente dal vivo. Ormai manca poco: meno di due mesi e i Coldplay saranno di nuovo in Italia a incantare gli stadi di Napoli e Milano!
Francesca Papa
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