
“Da 100 a 10. Un viaggio nella musica in Rolls Royce”: Angelo Calculli spiega in un libro i quattro anni con Achille Lauro
La Case History che state per leggere è di quel che Angelo Calculli ha fatto con e per Achille Lauro che parla, quello che ha mostrato all’Italia Dorian Gray, e che qui ci spiega anche come è stato dipinto il quadro nascosto nello sgabuzzino.
Michele Monina, Prefazione “da 100 a 10 un viaggio nella musica in Rolls Royce“
Manager di Achille Lauro dal 2018 al 2022, Angelo Calculli è stato il professionista che ha permesso all’artista di diventare mainstream, grazie anche alle quattro partecipazioni del cantante a un evento seguito da varie tipologie di pubblico come il Festival di Sanremo.
In “Da 100 a 10” Angelo Calculli racconta cosa voglia dire essere un manager musicale con un case study tra i più emblematici della storia musicale italiana pop contemporanea offrendo ad aspiranti manager, fan e appassionati di musica la possibilità di poter spiare nel backstage e di capire come il successo di un artista non è dovuto alla casualità bensì a scelte precise derivate da studio e analisi, spesso fatte nell’ombra.
L’Intervista
Angelo hai scritto “Da 100 a 10 Un viaggio nella musica in Rolls Royce”, un libro in cui racconti gli anni di attività manageriale al fianco di Achille Lauro, retroscena inediti sia professionali che privati e le motivazioni della fine del vostro rapporto. Ci spieghi a chi è rivolto il libro?
Innanzitutto, tengo a precisare che di privato non c’è nulla. Il privato è, come dice la parola stessa, qualcosa che non può essere reso pubblico. Pensa che proprio in questi giorni alcuni professionisti che erano consulenti di entrambi (addirittura in alcuni casi consulenti trovati da me e inseriti all’interno delle attività dell’artista) mi hanno “comunicato” di non poter più essere miei consulenti proprio a causa del libro, senza nemmeno averlo letto e forse proprio sul presupposto che il libro avesse avuto contenuti diciamo così un pò più riservati. Stessa storia è accaduta con le offese, le illazioni, le stupide dicerie di alcuni pseudo-fan che, senza neppure sapere cosa c’è scritto, hanno assunto un comportamento a dir poco squallido.
Ripeto, una piccola parte, per fortuna. E prevedendolo, per assurdo proprio a loro è dedicato un contenuto extra all’interno del libro. In realtà io ho scritto un libro prima di tutto curativo per me stesso e in secondo luogo un libro che parla di tecniche e in narrativa racconta un case history in tutto il suo svolgimento. Certo ci sono alcune cose inedite ma sempre relative al lavoro. Il resto è solo un rimettere ordine a quello che il pubblico ha visto, semplicemente spiegandolo. Per questo il libro è rivolto a
chi vuol capire quanto sia complicata una attività come quella che io ho svolto, quali sono gli errori che ho commesso, quanto sia determinante “il prodotto” che si gestisce. E per chi invece conosce la storia è un aiuto a comprendere e capire realmente come sono andate le cose e perché questo rapporto è terminato.
Il libro è dedicato in ordine sparso alla tua famiglia ed in particolare a tuo fratello Nicola “l’unica persona che resta di quella impresa magnifica che era la vostra famiglia”. In che modo era impresa la tua famiglia e quanto ha inciso nella tua professionalità?
Tanto! Credo che la famiglia sia effettivamente la prima esperienza imprenditoriale della vita di ognuno di noi. Tanto più quella impresa è solida, ben gestita, rispettosa, disposta al sacrificio, unita e compatta, quanto più in quella impresa non ci sono abbandoni, rotture, negatività, tanto più quei giovani apprendisti, vale a dire i figli, saranno capaci a loro volta di gestire una propria impresa familiare e lavorativa. Sia essa autonoma o dipendente da qualcuno. Io sono stato fortunato. La mia famiglia
mi ha insegnato innanzitutto cosa è il rispetto. Pur nelle contrapposizioni che ci sono tra figli e genitori (come tra dipendenti e proprietari) non ho mai avuto pensieri duri e addirittura delittuosi (come a volte capita) nei confronti dei miei genitori né mai ho imprecato o compiuto gesti violenti nei loro confronti. Mia madre mi ha insegnato cosa significa essere buoni di cuore, gentili, educati non solo nell’apparenza ma nella sostanza, e mio padre mi ha insegnato come si “LAVORA”, e quanto il lavoro sia importante e onorevole per un uomo.
Nel libro è possibile leggere alcuni dei tuoi appunti annotati a mano su post-it. Su uno di questi paragoni il lavoro di manager a una spinosa pianta di fico d’India. Come mai?
Il fico d’india non ha bisogno di tante sovrastrutture per la sua crescita. Non gli occorre un fiume d’acqua per crescere; si accontenta a volte delle gocce della rugiada, dell’ umidità per crescere. E nonostante tutto cresce di color verde intenso, non giallo pagliericcio secco, e produce un fiore stupendo che sembra di carta velina colorata e un frutto unicamente dolce e gustoso. Ma ha le spine. Quelle
spine che stanno a significare che non è propriamente una pianta debole. Pur avendo poco è forte e sa pungere se occorre difendersi, sa pungere chi lo maneggia senza sapere come trattarlo. Ecco. Io sono così e il lavoro di un manager mi ricorda molto queste caratteristiche.
Quale consiglio (il primo che ti viene in mente) daresti a un giovane col sogno di diventare manager?
Studiare. E poi studiare. E ancora studiare e studiare sempre per essere aggiornato su tutte le scienze che occorrono per svolgere questa funzione in modo professionale. E ancora: non commettere l’errore di lavorare con il cuore ma di usare solo la testa. Alla fine, si è a servizio di qualcuno al pari di un collaboratore o collaboratrice domestica e se non si è scaltri e previdenti si riceve lo stesso
trattamento quando il cuore prende il sopravvento sulla ragione.
Rischiare è uno dei tuoi principi imprenditoriali. Achille Lauro ha dichiarato: “Angelo, che se non ci fosse probabilmente oggi non staremmo facendo questa strada, è […] un grande visionario che ha messo tanta della sua esperienza non solo nella mia musica ma anche nella mia vita, mi ha insegnato tanto e appunto mi ha anche permesso di osare, perché molte volte anche rischiare è importantissimo.” Quando e in cosa avete rischiato tu e Achille Lauro? Hai aneddoti da raccontare?
Quello che parlava in quella intervista in effetti era Achille Lauro. Avrei voluto ascoltare le stesse parole da Lauro De Marinis, chissà se le avrebbe condivise.
Il rischio è la componente costante della mia vita e del mio lavoro. Non sono mai stato un 9:00/13:00 – 15:00/18:00; non ho mai timbrato un cartellino. Gli aneddoti lasciano il tempo che trovano e comunque rischi e storie di questo “caso” sono raccontati nel libro.
“Fare di qualcuno una star è un potere grande nelle mani di un uomo”. Come hai capito il potenziale di Achille Lauro?
Ho una fortuna. Ho sempre avuto qualcuno affianco a me che ha vissuto in prima linea questa avventura e che è in grado di smentire o confermare le cose che dico e che scrivo. Una sera fui invitato all’Atlantico a Roma a vedere un concerto, diciamo così. Lì mi resi conto che io con quel mondo non c’entravo nulla. Invitai l’artista a guardare Velvet Goldmine perché mi dava l’impressione di essere quel personaggio. Il resto è scritto nel libro.
“Da grandi poteri derivano grandi responsabilità” aggiungo io citando Spiderman. La tua più grande responsabilità quale è stata? E quale è stata secondo te la tua migliore idea nel vostro percorso insieme?
La mia più grande responsabilità è stata quella di aver buttato la mia vita alle spalle ed essermi concesso anima e corpo al progetto che abbiamo realizzato. La migliore idea? Lo dicono e lo diranno ancora per molto i numeri: non aver permesso all’artista di non pubblicare “Bam Bam Twist”. Il premio degli Awards di quel brano è giustamente custodito a casa mia.
Prima di diventare manager musicale sei stato avvocato. Come ha influito la tua precedente professione nel mercato musicale?
Sono stato un avvocato d’impresa, un mix tra avvocato e manager. Non ho mai svolto la professione canonica con studio e clienti eterogenei. Un manager è un manager nella testa specialmente se ha studiato tanto come me e se ha avuto la possibilità di “praticare” tanto. Poi il settore non è determinante a meno che non si tratti di settori industriali estremamente specifici. Tra una mortadella, un divano e una canzone io non vedo grande differenza nella gestione, se vuoi farla arrivare sul mercato.
Quale è il ricordo più bello di questa esperienza durata ben quattro anni?
Tutto il 2020. Da Me Ne Frego fino alla terapia intensiva del covid. Sì, perché anche se sono andato vicino alla morte sono riuscito a venirne fuori e da lì ho capito realmente anche chi erano le persone di cui mi potevo fidare nel lavoro e le persone di cui non mi dovevo fidare e anche quelle da cui successivamente sarei stato tradito. La morte provoca dispiacere e dolore solo nei tuoi familiari: per quelli con cui lavori sei solo un corpo da sostituire subito per non avere problemi di continuità.
Rimarrai manager musicale o, per usare le tue parole, “tornerai ancora indietro per ripartire da zero”?
Rimarrò una persona buona, spero un buon padre prima di tutto. Non sono più così giovane per poter ripartire da zero e se questa esperienza terminerà cercherò di vivere con tranquillità in campagna. Al Sud, la mia terra.
Intervista a cura di Valeria de Bari