I vestiti di Sanremo: gli stili, i flop, i significati della prima serata

I vestiti di Sanremo: gli stili, i flop, i significati della prima serata

La moda e Sanremo sono due vecchie comari che vanno a braccetto. Sul palco dell’Ariston, nei decenni, sono passati trend e piccole rivoluzioni, messaggi di liberazione e strizzatine d’occhio alla fluidità di genere.

Da una manciata di anni gli stylist sono diventati delle celebrità, Susanna Ausoni e Nick Cerioni hanno migliaia di follower e tutti vogliono essere vestiti da loro. I Maneskin e Achille Lauro, per citarne un paio, devono parte del loro successo anche a un’immagine diversa e accattivante, fuori dagli schemi, che ha portato aria di contemporaneità sul palco più imbolsito di sempre.

Quest’anno tra Chiara Ferragni e la presenza di importanti stylist come Lorenzo Prosocco (che cura anche l’immagine di Dua Lipa) c’è un hype allucinante su abiti, accessori, provocazioni, dichiarazioni sul diritto di essere stessi.

La prima serata -lato fashion- è stata abbastanza flat. La partenza lenta, però, mi fa ben sperare in un’accelerazione alla Fast and Furious delle prossime serate.

LA GEN Z NON DELUDE

Gli artisti più giovani come Olly, Mr Rain, gIANMARIA, Ariete sono stati coerenti portavoce dello stile della Gen Z, con macrovolumi, oversize, fluidità.

gIANMARIA in MSGM ricorda un po’ i BTS e un po’ il personaggio di un manga, ma è molto a suo agio e la sua presenza scenica convince. Lo styling è di Silvia Ortombina per Tiny Idols.

Solo Leo Gassman si è discostato da qualunque guizzo, indossando l’equivalente di uno sbadiglio contagioso: un completo scuro di Armani (ma perché?).

LA MIA TOP 3

Come speravo, qualcuno si è ricordato di omaggiare Vivienne Westwood, scomparsa lo scorso dicembre. I Coma Cose hanno saputo incarnare il suo stile alternativo e rock in modo perfetto. Loro bellissimi, innamoratissimi più che mai, hanno fatto emozionare l’Italia con un pezzo sulla loro crisi di coppia. Hanno abbandonato quello stile un po’ rave a Berlino anni 90 e devo dire che ne hanno guadagnato tanto.

Special mention a Elodie, in Valentino total black con trasparenze e volumi di piume è stata l’unica e vera diva della prima serata. Anche Mahmood non mi ha deluso (non lo fa mai), con un bellissimo outfit Margiela ha oscurato Blanco, in Dolce e Gabbana, che a metà serata ha deciso di andare in burnout distruggendo un intero roseto.

Mahmood in Margiela

CHIARA FERRAGNI E GLI ABITI MANIFESTO

Il discorso per Chiara Ferragni non può essere meramente di gusto, perché insieme a Maria Grazia Chiuri, direttrice creativa di Dior, hanno creato un universo di significati e di messaggi politici, dipanato abito dopo abito.

Già nel 2017 Maria Grazia Chiuri aveva dichiarato attraverso l’iconica tshirt “We should all be feminists” la sua volontà all’impegno civile, citando il libro dell’autrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie.

A Sanremo, con Chiara Ferragni, hanno ideato una narrazione sul corpo e sul ruolo della donna, attraverso 4 abiti:

Il vestito manifesto: una stola bianca ricamata con l’invito “sentiti libera” avvolge Chiara Ferragni. Il motto è apparso su un muro di Genova dopo una manifestazione per le donne e l’artista Claire Fontaine l’ha fatto suo, contribuendo al viaggio della Ferragni nel mondo dell’attivismo femminista.

L’abito contro l’odio: mi ha ricordato l’abito da sposa di Angelina Jolie, col velo decorato dai disegni dei suoi numerosi figli. Su quello di Chiara Ferragni invece ci sono gli insulti che gli hater le hanno rivolto nell’arco della sua carriera. Scende le scale con quattro donne rappresentanti dell’Associazione DIRE, che portano la testimonianza della loro quotidiana attività a supporto delle donne e contro ogni forma di violenza.

Il vestito senza vergogna: un abito trompe l’oeil, che sembra il vestito nuovo dell’imperatore, invece è un corpo dipinto su un tessuto color carne. Magistrale esecuzione per un’opera quasi concettuale. La Ferragni lo indossa durante un monologo scritto da lei: una lettera alla Chiara bambina, in cui le racconta che la vita la metterà davanti a molte difficoltà in quanto donna, e lei non dovrà scoraggiarsi, prendendosi tutto quello che vuole senza mai mollare o farsi piccola davanti a uomini insicuri.

L’abito gabbia: Per citare le parole della maison Dior:

“Liberare le nuove generazioni dagli stereotipi di genere nei quali spesso le donne si sentono ingabbiate. Questa è l’idea che Maria Grazia Chiuri ha voluto rappresentare con questo abito alta moda di Dior composto da una tuta di jersey ricamata di strass intrappolata in una gonna di tulle che prende ispirazione dall’opera di Jana Sterbak. Questo abito rappresenta la speranza di rompere le convenzioni imposte dal patriarcato”.

Personalmente ho trovato queste scelte molto patinate, didattiche e un pelino ‘artistoidi’. Se da una parte è vero che repetita juvant, è anche vero che la Ferragni è un esempio di donna emancipata, self-made, empowered, banalmente: una che ce l’ha fatta fin da giovane, credendo in una sua idea e riuscendo a guardare lontano nel mondo della comunicazione di moda, dei social, dei blog. Bastava raccontare questo per dare la testimonianza più impattante, ovvero una storia vera. Come direbbe Shakira, “Le donne fatturano” e l’indipendenza economica spesso è proprio ciò che manca alle donne vittime di violenza in famiglia. Chiara Ferragni avrebbe avuto forse un impatto maggiore raccontando quanta parte del suo fatturato viene reinvestito in progetti per la formazione di ragazze o donne in difficoltà, magari per inserirle nell’organico delle sue aziende.

Un plauso comunque allo sforzo profuso per puntare la luce di un evento enorme sulla condizione della donna, ancora piena di contraddizioni e ipocrisie.

Micaela Paciotti

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