ABUSI, MALTRATTAMENTI E RIENTRO A CASA

ABUSI, MALTRATTAMENTI E RIENTRO A CASA

“Tempo sospeso”: la storia del piccolo grande G.

Quando ho conosciuto G. aveva 9 anni, milanese di nascita come i suoi fratelli e con genitori marocchini. Anche loro arrivati in Italia per trovare un po’ di fortuna. 

Un viso rotondo con due nocciole al posto degli occhi, uno sguardo accattivante da furbetto di periferia e un sorriso che ti fotteva sempre. 

G. è un ADHD, per i non addetti ai lavori ha un disturbo da Deficit di Attenzione Iperattività, un deficit che compromette il funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo. 

In effetti non si fermava un attimo, sempre in continuo movimento, organizzava giochi e giochi e giochi senza prendersi una pausa. Difficile stare ai suoi ritmi, lo dicevano anche a scuola nonostante la sua spiccata intelligenza.

Quando è arrivato in comunità era in sovrappeso, raccontava che si nutriva solo di “schifezze” ma solo quando il padre glielo acconsentiva e non era arrabbiato con loro. 

Non aveva mai assaggiato il pesce o le zucchine, gli alimenti erano una continua scoperta per lui anche se preferiva le brioschine che rubava di nascosto da noi educatori arrampicandosi sui pensili.

Un padre violento, un fratello psichiatrico che alternava la sua vita tra casa sua e una clinica, una sorella maggiore che avrebbe manifestato gli stessi tratti di lì a poco e una madre completamente sottomessa al volere del marito, picchiata e annullata nella sua persona come donna, come madre e come moglie. 

Questo vi era scritto nel decreto e questo riportavano anche gli assistenti sociali ma i racconti di G. erano ancora più agghiaccianti. 

G. aveva spesso agiti violenti etero aggressivi e quando questo accadeva, tirava fuori i ricordi del passato. E quando iniziava era un fiume in piena.

Un pomeriggio eravamo nella sua stanza da letto e mentre sistemava i suoi giochi (ne aveva di ogni tipo, nessuna passione in particolare ma un’infinità numerica di modelli) in un momento di calma e totalmente inaspettato, mi disse che suo padre lo legava alla sedia bloccandogli polsi e caviglie con le fascette elettriche. 

E questo solo perché, come riportava il padre, “era ingestibile” per via del suo disturbo.

G. era collocato in comunità con la sorella maggiore, anche lei confermava questi racconti, tra una crisi psicotica ed un’altra.

Mi raccontarono che quando si recarono in Marocco per far visita ai nonni, il padre lo sedò con una “siringa gigante” per trascorrere un viaggio sereno in volo e non essere disturbato dal figlio. E la scena si ripetette anche per il ritorno.

Quando G. mi racconta questo episodio ha ancora la paura in volto, lo dice sempre che ha paura degli aghi e delle iniezioni, è davvero difficile fargli un prelievo del sangue.  

E ci credo piccolo G., ben immagino quello che ti ricorda. 

Questa storia però non ha un finale come nelle fiabe, non tutti riescono ad avere il loro riscatto sociale. non il piccolo G. Non per ora.

G. è peggiorato manifestando risvolti psichiatrici al suo disturbo. Ma questo non è grave tanto come il fatto che il Giudice ha acconsentito il rientro a casa dei figli. 

Già, in quella casa con quel padre lì.

Chissà come vivrà adesso il piccolo grande G., per alcuni minori vittime di violenza subita e assistita, il patto di fedeltà e lealtà con la famiglia è molto forte. Si tende spesso a difenderli e a giustificarli. Ed era così il piccolo G.voleva tornare a casa e le istituzioni purtroppo l’hanno ascoltato non considerando la condanna ad una vita di violenze che si sarebbe prospettata. A quella gente lì consiglio vivamente di cambiare lavoro.

Il piccolo G. era comunque felice di tornare a casa.

Una volta, chiacchierando mi disse: “Io voglio andare a casa, fa niente se papà mi picchia, il dolore fisico passa, quello che ho dentro nel vivere lontano da loro, no”.

Leggi qui la storia precedente.

Francesca Sorge

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