TEMPO SOSPESO – LA STORIA DI K.

TEMPO SOSPESO – LA STORIA DI K.

“Io non ho paura, non mi fa paura niente!”.

K.

E ci credo, penso io, dopo tutto quello che hai vissuto cosa potrebbe più spaventarti?!?

Quattordici anni, scuro di carnagione, capello nero e riccio, pochi denti e larghi ma comunque un bel sorriso. Costituzione robusta e le mani piccole. Quattordici anni e già quattordici vite vissute.

Non ci prendiamo subito, non tollera la mia autorevolezza, parla poco italiano e spesso in arabo. Proviene da Tunisi e parla arabo, francese e inglese. E io che cerco ancora di iscrivermi a qualche corso online per imparare una seconda lingua. Ma cosa se ne fa di tutte ‘ste lingue? Mi chiedo. 

Gli servono per attraversare le terre e i mari. Mi rispondo. 

Gli servono per sopravvivere, mi rispondo ancora. 

Non ci prendiamo subito, non comprende l’importanza di alcune regole, inveisce rabbioso contro di me parlando in arabo e io con calma cerco di farmi capire. Quando si arrabbia ripete sempre: “Io non ho paura, non mi fa paura niente”. Un mantra per lui quasi per farsi coraggio nell’affrontare questa vita.

Una sera, a cena, mi racconta di aver raggiunto l’Italia su un barcone pieno di gente. Per qualche mese è rimasto in un centro di prima accoglienza in Calabria.

Con gli occhi lucidi dalla rabbia mi dice che il responsabile della struttura lo legava per i polsi al muro con le braccia tese verso l’alto (per intenderci come se fosse crocifisso) e lo picchiava se non parlava in italiano. Mi mostra le cicatrici. Mi accorgo che il mio viso è inespressivo mentre dentro mi sale su una rabbia incredibile e le mie gambe iniziano a tremare. 

Dalla Calabria viene trasferito a Brescia. Mi racconta che lì era l’unico minorenne in un gruppo di nigeriani adulti molto alti (ci tiene a precisare l’altezza e prova a indicarmela prendendo come paragone un mobile in sala, perché gli incutevano timore anche solo avvicinandosi). Lo costringevano a cucinare e pulire per tutti altrimenti veniva picchiato.

Povero K., quanto mi dispiace. 

Scappa e va a Milano.

Scappa e va a Napoli.

Scappa e va a Roma dove si rivolge in Questura per chiedere aiuto. 

Saranno loro a trasferirlo in Puglia in una struttura protetta.

È un fiume in piena, non smette di parlare, mi dice che la madre l’ha abbandonato da piccolo e quasi non ha più ricordi di lei. Lo dice piangendo. La sua casa è stata venduta e il padre non ha più un lavoro. 

Prima di arrivare in Italia suo nonno si è impiccato dinanzi ai suoi occhi ed è una scena che gli ritorna in mente quasi ogni notte. 

“Io non ho paura, non mi fa paura niente”. Ripete ancora.

E ci credo K. hai vissuto quattordici vite. 

“Non voglio andare a scuola, ho bisogno di lavorare per aiutare mio padre”. 

“Ma come K. devi istruirti, devi pensare al tuo futuro! Devi raggiungere la qualifica di terza media come richiesto dalla legge. Ma soprattutto lo devi fare per il tuo bene.”

“No, devo aiutare mio padre che è rimasto a Tunisi.”

Eppure si reca ogni giorno a scuola, sogna di diventare barbiere. Gioca ancora con le macchinine telecomandate e si stupisce delle luci led colorate.

Abbiamo trascorso la notte di Capodanno insieme. A Mezzanotte era in videochiamata con il padre per mostrargli i fuochi d’artificio che qui al Sud sono molto folkloristici. Aveva gli occhi lucidi di un bambino piccolo che li vede per la prima volta.

K. è in Italia da un anno e mezzo ma non ha ancora dei documenti perché non esiste un decreto del Tribunale dei Minorenni che lo tuteli. Non c’è neanche un assistente sociale nella città dove è domiciliato. 

Il mio è un lavoro di attese e di cura ma le attese più lunghe restano sempre le loro.

Quanto altro dovranno attendere per una vita degna della loro età?

Francesca Sorge

La foto è di Francesca Sorge

Un pensiero su “TEMPO SOSPESO – LA STORIA DI K.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *