A proposito di Robbie Williams, il cantante idolo dei Millenials

A proposito di Robbie Williams, il cantante idolo dei Millenials

Un amore decennale

Erano i ruggenti anni ’90 e, prima in Gran Bretagna, poi in tutta Europa, una boy band composta da cinque ragazzi faceva sognare milioni di fan semplicemente cantando e ballando. Sto parlando dei Take That, le cui foto hanno accompagnato tutto il mio terzo anno di scuola elementare (all’epoca si chiamava così), visto che avevo ottenuto il diario a loro dedicato.

Qualche decennio più tardi e precisamente nel 2012 ho avuto la fortuna di andare al concerto dei Take That riuniti a Milano, allo stadio San Siro, realizzando il mio sogno di bambina.

Devo pubblicamente ringraziare per questo Federica, collega di università a Bologna e compagna di tante avventure accademiche e non. All’epoca la mia partner in crime si era fatta regalare, per non ricordo bene quale occasione, due biglietti dal fidanzato/attuale marito Ciro, il quale però le aveva detto anche “Io non vengo! Portati un’amica”.

In quel caldo luglio ho potuto assistere all’incredibile spettacolo di Robbie Williams, un animale da palcoscenico, un “born entertainer” come si è auto-definito, un cantante che vuole intrattenere il suo pubblico come dichiara nella canzone-manifesto “Let me entertain you“.

Robbie Williams: il documentario su Netflix

Su Netflix è disponibile Robbie Williams, una serie documentario di quattro puntate – della durata di circa cinquanta minuti l’una – in cui il re del pop, racconta se stesso, la carriera e gli effetti che le pressioni dell’ansia da prestazione hanno avuto sulla sua psicologia, sulla sua identità e sulla sua vita privata.

Robbie Williams non indossa i pantaloni. Sdraiata in posizione plastica (la stessa di Kate Winslet in Titanic mentre Di Caprio dipinge la sua figura) sul letto nella sua villa di Los Angeles, la pop star ripercorre il suo passato su un computer.

Infatti nel corso di tutta la sua carriera Robbie ha registrato un videoblog e oggi, nel 2023, si ritrova davanti a un flusso di filmati d’archivio del backstage che parte dalla frenesia del successo con i Take That e arriva al popolarissimo super-tour della sua era da solista, passando per le vacanze fatte nel Mediterraneo con Geri Halliwell delle Spice Girls.

Il monologo di Robbie

In questa atmosfera un Robbie senza veli, letteralmente e metaforicamente, racconta se stesso, offrendo il suo personale e unico punto di vista sulle vicende che l’hanno coinvolto. In quattro ore il re del pop parla di depressione, di ansia e delle dipendenze che hanno accompagnato il suo percorso di celebrità e, in generale, la sua vita.

A parte qualche intrusione di sua figlia nella stanza in cui Robbie guarda il footage e la testimonianza della moglie Ayda tutto il documentario è un monologo del cantante che sembra essere onesto e non si preoccupa di risparmiare i momenti più drammatici e i passaggi più neri.

Robbie confida la difficoltà di sentirsi sempre al top, gli attacchi di panico prima dei concerti, la paura di non essere abbastanza, il terrore di non essere più in grado di riconoscere istintivamente un pezzo che avrà successo, l’incapacità di andare avanti senza “l’aiuto” di alcolici, cocaina, anti-depressivi e perfino steroidi, la tristezza derivata dal mancato apprezzamento della stampa inglese che l’ha sempre definito trash.

Il tono delle puntate è cupo. Nonostante ogni episodio sia puntellato dai grandi successi che tutti conosciamo a memoria – Angels, Feel, Millenial, RockDj – si percepisce il disagio di un essere umano esteticamente eccessivo, apparentemente sicuro di sé ma intimamente fragilissimo.

Valeria de Bari

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