Madrid: l’ombelico del mondo

Madrid: l’ombelico del mondo

Rimpatriati“: la storia di Maria Cristina

I miei genitori mi hanno dato le ali per andare e le radici per tornare. Io sono figlia unica e mia madre avrebbe potuto comportarsi da mamma chioccia, tenermi qui e io non sarei mai diventata quella che sono.
Uscire dalla propria zona di comfort è un’esperienza estremamente educativa che ti fa diventare donna.

Maria Cristina

Io e Maria Cristina ci diamo appuntamento in un bar nel tardo pomeriggio.

Come al solito arrivo prima dell’orario concordato e decido di sedermi per non attendere in piedi.

Le mando un messaggio su Whatsapp: “Io ci sono. Ti aspetto. Fai con calma“.

Lei mi risponde: “Io sto arrivando. Mi vedrai tra 3…2…1” e compare davanti a me sorridente.

Ha un animo caldo e accogliente, come la città dove ha deciso di vivere per tanti anni: Madrid.

Maria Cristina chi sei tu? Ti va di presentarti?

Io sono una pazza (ride sonoramente ndr). Sono una docente di spagnolo monotematica. Io parlo solo della Spagna e di Madrid. Mi piacciono la sincerità e l’onestà, non sopporto l’ipocrisia e credo che nella vita sia importante fare esperienze. Sono un’Ariete. Mi infuoco come un cerino e dopo poco mi spengo velocemente. Sono umorale, ho alti e bassi. E dico sempre la verità.

Perché hai deciso di trasferirti, di andare via?

Tutto è partito da una grande delusione d’amore, alla quale è seguito un evento tragico per me, ovvero la morte del mio cane. Aveva 18 anni ed era come un fratello per me… Nello stesso periodo ho perso mia nonna e, ciliegina sulla torta, sono stata licenziata a lavoro (all’epoca ero impiegata come segretaria in un’azienda). Avevo però preso la laurea magistrale in spagnolo, quindi avevo completato il mio percorso di studi in lingue. Quindi avevo questo bagaglio grande di tristezza.

I miei genitori, lo dico sempre, mi hanno dato le ali per andare e le radici per tornare. Io sono figlia unica e mia madre avrebbe potuto comportarsi da mamma chioccia, tenermi qui e io non sarei mai diventata quella che sono, perché uscire dalla propria zona di comfort è un’esperienza estremamente educativa che ti fa diventare grande.

Insomma seguendo il consiglio di mia madre e mio padre ho deciso di intraprendere questo percorso all’estero, di andare a vivere in Spagna. Mi sono trasferita a Madrid dove ho iniziato a insegnare italiano in una scuola di Lingue. Allo stesso tempo però ho fatto il Master in Profesorado, esperienza che mi ha dato la possibilità di frequentare un’università spagnola, toccando con mano le differenze che ci sono con l’università italiana. Alla Francisco de Vitoria ci sono “i professori dell’anno” che si fanno dare del tu. Al massimo della preparazione corrisponde il massimo dell’umiltà.

E come mai hai deciso di andare proprio lì? Come si vive a Madrid?

Madrid ti dà delle opportunità, ti stimola, ti mette alla prova e ti migliora.

Io ricordo che un giorno ho preso un libro da una libreria di Plaza del Callao e mentre sfogliavo questo libro di grammatica spagnola una donna si avvicina e mi chiede “che ne pensi del libro?”. Era l’autrice. Io sono quasi svenuta. Ora ho il contatto di questa famosa linguista.

Madrid è la città dove succedono le cose più strane. Ti racconto un altro aneddoto. Amavo i Sidonie, un gruppo musicale, li ho conosciuti e siamo diventati amici. In un concerto all’arena di Madrid il frontman ha urlato dal palco “Maria Cristina”.

Una città come Madrid è un posto difficile da descrivere, solo chi ci ha vissuto può capire. È un posto accogliente con cittadini molto aperti mentalmente. Per esempio il Gay Pride è una festa gioiosa condivisa da tutta la città, una manifestazione a cui prendono parte anche le famiglie con i bambini, non soltanto i giovani ragazzi. Ci sono i concerti gratuiti, insomma tutto questo per dire che Madrid è una città aperta. C’è anche Lavapiés, un quartiere multietnico, dove si sente profumo di spezie, di curry e ti sembra di non essere in Spagna. Madrid è per me la città dei sogni: ogni quartiere è un mondo a sé ma tutti i quartieri sono caratterizzati dalla presenza di un grande rispetto per gli altri da parte di chi li abita.

C’è di tutto a Madrid, è una città incredibile, c’è ogni tipo di divertimento, di cultura.

Tu nella normale routine rientri a casa alle 5 del mattino e ti capita di incontrare una troupe che sta girando uno spot e magari ti viene offerta la colazione. Madrid coinvolge, ti accoglie con le tue diversità e ti spiega tante cose che se vieni dalla provincia non capisci.

Tu ti accorgi in metropolitana se sei vicino a un madrileno o meno. Il madrileno tiene la porta con cortesia allo sconosciuto; tutti gli altri no, lasciano andare la porta che rischia di andare in faccia a chi sta dietro.

Ti faccio una domanda strana. Per quanto Madrid sia incredibile, essendo tu nata in una città sulla costa non sentivi la nostalgia del mare?

C’è una canzone che dice “Vayavaya, aquí no hay playa” (ride ndr). Gli spagnoli ci giocano sul fatto che realmente a Madrid non ti accorgi che non c’è il mare.

Quando sei partita sapevi già cosa avresti fatto a Madrid?

No! Sono arrivata e ho lasciato il mio curriculum ovunque. Ho pensato che Madrid è una città talmente grande che qualcuno, qualcosa l’avrei trovata. Infatti grazie al Cedils sono stata subito presa come insegnante di italiano. Ma non ero totalmente felice. Io volevo insegnare spagnolo. Infatti io ho scelto di tornare in Italia anche per questo motivo.

Anche ma non soltanto. Il pallino di tornare l’ho sempre avuto, infatti quando iniziavo una nuova relazione sentimentale con uno spagnolo e mi venivano chieste le mie intenzioni future io rispondevo che sarei tornata in Italia.

Dopo cinque anni a Madrid mi sono trasferita in Galizia a La Coruña, un posto inospitale. C’è tantissimo vento, ci sono dei cicloni che arrivano dall’Oceano; c’è un clima complicato. Sono pochissime le giornate di sole e anche la mentalità è un po’ più chiusa: i galiziani parlavano molto il galiziano tra di loro e tentavano di escludermi. Questa esperienza è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ho capito che il mio percorso era concluso, il cerchio era chiuso. Avevo imparato quello che dovevo imparare e volevo tornare per donare.

C’è stato un momento specifico in cui hai avuto l’epifania?

Sì quando ho preso la certificazione C2, che attesta il fatto di essere madrelingua. Era un traguardo che pensavo di non poter raggiungere. Adesso sono anche esaminatrice e ancora non ci credo. Io so quanto ci ho messo per ottenerlo, gli sforzi che ho fatto. Il C2 mi ha dato quella botta di sicurezza per tornare.

Oggi sei soddisfatta di quello che fai e quello che sei?

Io sono felice di essere docente in una scuola secondaria. Si insegna per vocazione. Devi avere un obiettivo nobile, perché i ragazzi se ne accorgono. A scuola media hanno una purezza di animo con cui ti studiano. Mia madre è la mia mentore. Lei era insegnante e mi ha dato molti consigli. Io credo che ci sia stato l’imprinting, perché quando ero piccolina mi ha portata a scuola. Oggi io faccio dei gesti che faceva lei.

Ho fatto tanti lavori: ho lavorato in un’agenzia di viaggi, in un negozio di pentole, in un call center, come traduttrice e interprete. Da tutti i lavori si impara, tutti i lavori ti lasciano qualcosa. Ai miei studenti lo dico sempre che in passato ho venduto le pentole.

Ti sei mai pentita di essere tornata?

A volte mi chiedo se ho fatto bene a tornare perché la scuola in Italia è molto diversa dalla scuola spagnola. In Galizia per esempio mi avevano fatto una festa di benvenuto, mi hanno regalato una maglietta originale del Deportivo La Coruña e degli orecchini per accogliermi nella scuola. In Italia mi è capitato di non avere nemmeno il cassetto e di aver dovuto lasciare i libri in macchina.

I miei alunni dicono che io cambio quando parlo della Spagna, si illumina lo sguardo. Tutt’ora io vado spesso a Madrid e mi ricarico le batterie, però non mi sono pentita di essere tornata.

Non è stato facile. Quando sono tornata non mi hanno certamente steso il tappeto rosso. Nei primi tempi ho racimolato delle supplenze. In Italia avevo degli amici prima di partire, ma mi sono dovuta ricostruire il mio giro sociale. Tra chi si è sposato, chi è andato via, chi ha avuto figli…

Quindi sul fronte lavorativo c’era il precariato, sul fronte sociale non c’era nessuno…

Sono passata dalla vita sociale di Madrid a girarmi i pollici sul divano (ride ndr). Piano piano però sono entrata in un gruppo di amici, mi sono fatta strada nel mondo della scuola e alla fine è andata sempre meglio. Quando fai la scelta giusta vieni anche premiato. La mia esperienza fuori rappresenta una grande ricchezza.

Poi ho conosciuto mio marito due anni dopo essere tornata. Sono stata conquistata dalla sua allegria.

C’è stato mai un momento in cui hai pensato ma chi me l’ha fatta fare di tornare?

No, perché amo insegnare. Quando vedo i progressi degli alunni mi sento realizzata. Loro danno un senso alle mie giornate. Una bambina di un quartiere problematico una volta mi ha detto “Professoressa ma perché dobbiamo imparare lo spagnolo?”. Io le ho detto di guardare in alto l’aereo che stava passando. “Tu che vuoi fare? Vuoi rimanere qui a guardare gli aerei o vuoi prenderlo l’aereo?”. Si è accesa nei suoi occhi una nuova luce e tutt’ora mi viene la pelle d’oca a ricordare questo episodio.

Rimpatriati è una rubrica dedicata a chi è tornato a casa e a chi vorrebbe tornare ma non ha ancora trovato il coraggio di fare la valigia. La grafica è di Marisa Tammacco.

Per leggere le altre storie raccontate nella rubrica “Rimpatriati” scorrete la pagina.

Valeria de Bari

2 pensieri riguardo “Madrid: l’ombelico del mondo

  1. Le interviste ci aiutano a comprendere e a conoscere meglio le persone. Rimpatriati… mi fa pensare che anche se non si lascia un luogo fisicamente … si può rimpatriare anche da una situazione o stato mentale in cui la vita necessariamente ci ha portati… grazie

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *