“Rossana” (alias “Il giocattolo dei bambini”): il manga che insegna ad amare
È l’8 luglio 2000 quando dai televisori italiani esce fuori per la prima volta una delle sigle più iconiche del mondo dei cartoni animati. Si tratta di Rossana.
Rossana dai pensaci un po’ tu
perché così non se ne può più.
Sappiamo che non ti arrendi mai
e provi e riprovi finché ce la fai.
[…]
Una volta che l’inconfondibile voce di Cristina d’Avena ha cantato l’ultima nota, inizia la storia di Rossana, una piccola idol giapponese impossibilitata a seguire le lezioni scolastiche a causa di compagni particolarmente indisciplinati. A capo di questa banda di maschi rumorosi c’è Eric, un bambino strafottente e dallo sguardo gelido apparentemente intenzionato a creare problemi senza curarsi delle emozioni di chi lo circonda. Dopo esserci entrata in contrasto, Rossana inizia a conoscerlo meglio e capisce che dietro l’atteggiamento da bullo si nasconde un orfano senza alcun desiderio di vivere a causa del poco amore donatogli dai membri della famiglia che gli resta . Dal momento in cui scopre la verità, la ragazza non avrà pace fin quando non avrà fatto conoscere a Eric il significato dell’amore e della bellezza dell’esistenza.
Questa è la trama che tutti conoscono di Rossana, l’anime che ha incantato una generazione con la sua protagonista piena di vita e una storia d’amore che è rimasta nel cuore di chiunque abbia vissuto i momenti di vicinanza e lontananza tra i due personaggi coinvolti. Eric e Rossana, infatti, hanno formato una delle coppie più sospirate dai figli e dalle figlie della fine degli Ottanta e dei primi anni Novanta. Il loro scontrarsi, incontrarsi, perdersi e (quasi) ritrovarsi ha tenuto con il fiato sospeso i piccoli telespettatori e le piccole telespettatrici per tutti gli episodi concessi da Italia 1 (con ampie censure e brusche interruzioni). Io ero tra quelli/e. Con l’ingenuità dei miei 9 anni, guardavo Rossana e mi lasciavo conquistare dalla sua energia e dal suo ottimismo. Cantavo a squarciagola la sigla e tifavo per la coppia che faticava a concretizzarsi vivendo quella frustrazione che molti anni dopo sarebbe stata conosciuta con il nome di ship e sarebbe diventato un must in tutti i prodotti televisivi e non.
In quegli anni, il mio entusiasmo per l’anime si fermava a quello. Mi piaceva, ma più per affetto che per altro. È stato solo quando ho avuto tra le mani i volumi del manga Il giocattolo dei bambini (Kodomo no omocha in originale) di Miho Obana che ho capito quanto questa storia potesse insegnare sull’amore.
Il giocattolo dei bambini: tutta un’altra storia
Il manga da cui è stato tratto l’anime Rossana ha visto la luce nel 1994 in Giappone arrivando nel nostro Paese solo nel 2002. Oggi è pubblicato dalla Dynit Manga in 7 volumi (nell’edizione precedente erano 10) e lo consiglio a chiunque abbia voglia di imparare che cosa significa superare i propri traumi e amare una persona in un modo sano e completo.
Chi ha visto il cartone ritroverà nei primi volumi la storia che ben conosce anche se dovrà adattarsi ai nuovi nomi dei protagonisti: Sana per Rossana e Hayama per Eric. A partire dall’arrivo di Fuka (Fanny nell’anime), però, le storie prendono due pieghe completamente diverse. Nell’anime ci sono numerosi episodi filler e la struttura della narrazione si perde insieme ai temi che fino a quel punto erano stati sviluppati. Nel manga, invece, la narrazione è più coerente e va a riprendere alcuni snodi della prima parte dandogli ancora più profondità e senso. I personaggi vengono rappresentati in maniera più completa e disegnano delle parabole di crescita convincenti su cui c’è molto da imparare.
Da qui in poi, farò un po’ di spoiler, quindi se non volete rovinarvi la sorpresa, correte a comprare il manga! Però poi tornate nella mia stanza, così mi fate sapere che cosa ne pensate.
La malattia della bambola
La lettura di una storia d’amore adolescenziale può essere tanto interessante quanto noiosa, dipende da chi c’è dall’altra parte. Quella tra Sana e Hayama, però, merita di essere conosciuta perché offre un ottimo esempio di come un sentimento non dovrebbe mai diventare una gabbia o un impedimento per la realizzazione del proprio sé, anzi. Un rapporto può rappresentare un’oasi felice da cui trarre le energie per affrontare le sfide personali e avere una prospettiva più ampia sul mondo. Tutto questo senza perdere di vista i propri obiettivi o il proprio benessere.
Gli episodi legati alla malattia della bambola rappresentano un’ottima lezione su come affrontare la paura dell’abbandono e la dipendenza affettiva. A mio avviso, questa parte è la migliore di tutto il manga e dovrebbe essere letta da molti giovani per imparare da subito come ci si dovrebbe comportare in una relazione – di qualsiasi tipo, in realtà.
La malattia della bambola non esiste nel nostro mondo. È un’invenzione dell’autrice molto arguta per raccontare il lato più oscuro della sua protagonista. Sana è una bambina che a 5 anni viene a sapere di essere stata adottata. La sua vera madre l’ha abbandonata quando era in fasce. Da piccolissima le viene dato un compito: diventare famosa così da poter ritrovare la sua vera genitrice un giorno. Questa missione, creata sicuramente a fin di bene, finisce per scavare una voragine all’interno dell’animo di Sana. A 5 anni è troppo piccola per capire davvero che cosa stia succedendo e che cosa significa la promessa fatta alla madre adottiva. Ciò che le arriva in maniera chiara è un’emozione: la paura di non essere davvero amata da quella che per lei è sua madre. Da quel momento, vive nel terrore di essere lasciata indietro e di non essere sufficientemente adatta al ruolo di figlia. L’inadeguatezza la porta a raggiungere la perfezione in tutto ciò che fa. Inoltre, Sana non lascia intravedere nulla della sua tristezza o delle sue paure. È vivace, allegra, rumorosa. L’eccesso di ilarità diventa una difesa, un modo per non pensare al suo dolore e non affrontare le sue paure.
Nel momento in cui si fidanza con Hayama (sì, nel manga si fidanzano) tutti i suoi schemi vengono messi a dura prova. D’altra parte, quando si ama è naturale che ci si esponga anche al rischio di soffrire. Arriva un momento in cui il ragazzo dovrebbe trasferirsi in America. Ufficialmente è a causa del lavoro del padre. In realtà, il genitore di Hayama vorrebbe far provare al ragazzo una cura sperimentale per riprendere a usare la mano destra. Hayama, infatti, aveva subito una grave ferita ai nervi a causa di una pugnalata data da un compagno di scuola, vittima di una madre violenta, che voleva essere considerato da lui. Hayama e Sana ignorano le vere intenzioni del padre. Quello che sanno è che dovranno separarsi per un bel po’ di tempo. Alla notizia, Sana si ammala perdendo tutte le espressioni del viso. Lei non è consapevole di avere sempre la stessa faccia e si comporta come se nulla fosse. In realtà, il suo corpo si indebolisce anche a causa di disturbi alimentari che la portano spesso a rimettere e a passare diverse giornate a letto. Questa malattia – dai sintomi molto simili alla depressione – è un modo per evitare di affrontare la perdita e anche un tentativo inconscio di trattenere a sé Hayama.
Quando abbandono e senso di colpa s’incontrano
Hayama in un primo momento asseconda Sana. Nel manga, infatti, il ragazzo è un personaggio che si porta dietro un profondo senso di colpa. Si sente responsabile della scomparsa della madre (morta per darlo alla luce), delle sue azioni alle elementari, del male provocato a Fuka e di quello fatto a Sana. Anche la ferita al braccio se l’è fatta infliggere perché si sentiva in colpa verso quel ragazzo anche se i due non avevano mai avuto un rapporto.
La sensazione di essere un piccolo diavolo che provoca solo dolore alle persone che gli stanno intorno lo porta a mettersi completamente al servizio di Sana, trascurando i suoi bisogni e i suoi desideri. Un cavaliere nel senso più antico del termine. Il senso di colpa s’incastra perfettamente con i tentativi inconsci di manipolazione della ragazza. Fortunatamente, l’affetto che li unisce è puro e genuino e sarà la chiave per portarli a riflettere su quello che stanno facendo e su come si sentono. Attraverso il dialogo aperto e onesto, Hayama e Sana riescono a trasformare la loro cotta adolescenziale in un rapporto sano ed equilibrato in cui entrambi possono realizzarsi senza ostacolarsi pur potendo contare l’uno sul sostegno dell’altra.
Non mi è mai capitato di leggere un racconto sulla dipendenza affettiva così ben strutturato e così in grado di bilanciare leggerezza e serietà. Il giocattolo dei bambini è un manga spiritoso dove si ride, anche tanto, eppure il messaggio che vuole raccontare è di un’attualità e di una profondità che non ti aspetteresti, pur amando tantissimo l’anime.
Occhi grandi, commenti d’altri tempi e personaggi indimenticabili
A contraddistinguere i disegni di Obana sono gli occhi dei personaggi, grandi e ricchi di dettagli tanto da sembrare sempre luminosi. Il tratto è lineare, preciso, pulito. Le tavole sono sempre chiare, non arrivano quasi mai ad avere ombre tanto scure neanche nei momenti più drammatici. Non mancano momenti più spiritosi e frizzanti, gli stessi che troviamo anche nell’anime.
Nonostante Il giocattolo dei bambini sia uno dei miei manga preferiti di sempre, non posso non riconoscere che alcuni commenti presenti all’interno delle vignette siano legati a un mondo un po’ stereotipato. Si trovano alcuni riferimenti a stereotipi legati al maschile e al femminile ormai fortunatamente contrastati e superati. Eppure, non risultano più di tanto pesanti poiché nelle dinamiche della storia non vediamo personaggi costretti da ruoli di genere, anzi. Sana rappresenta un ottimo esempio di piccola donna in carriera che riesce a scoprire se stessa e la sua personalità grazie a un suo viaggio interiore. Lo stesso dicasi per Hayama che si emoziona, piange e rovescia le aspettative legate al classico tipo “bello e gelido”. Altra pecca: può apparire davvero strano che ragazzi di 12/13 anni riescano a fare discorsi così profondi o a vivere in maniera così libera alcune situazioni.
Al di là di questi piccoli aspetti, credo che Il giocattolo dei bambini sia un manga da conoscere e da apprezzare tanto quanto la sigla di Rossana che tutti/e conosciamo. È una storia d’amore classica dove, però, tutti gli assoluti della narrazione delle grandi storie vengono messi in crisi e guardati con occhio critico. In questo modo, non si perde il romanticismo, anzi! Gli si dà una veste più matura, più equilibrata e molto più affascinante.
Federica Crisci